Un antico detto definiva “l’Italia terra di santi, poeti e navigatori”. Santachiara aggiunge “ E Gattopardi” . Bisognerebbe dire anche terra di calcio giocato. Tricorda come il manager di Goldman Sachs International, Jim O’Neil, a Davos nel 2006, dopo avere escluso l’Italia dalla lista dei competitors manifatturieri, la riconosceva meritevole di menzione internazionale per la cucina e per il calcio . Sembrò una battuta ironica, ma tanto ironica non era.
Il calcio è un business gigantesco non solo in Italia, ma nel mondo. Stefano riporta che “ la FIFA per i prossimi tre anni ha previsto un budget di circa 5 miliardi di dollari. Per i mondiali del Brasile ha messo in conto la fatturazione di circa 4 miliardi di dollari.”
Una squadra di club italiana quotata in borsa raggiunge valori di mercato di parecchie centinaia di milioni di euro, alla pari delle grandi squadre europee e come o forse più di grandi complessi industriali.
Qualunque business di questa portata diventa automaticamente un fatto economico, politico e sociale, e si porta dietro i pregi e i condizionamenti antropici, avvenimenti leciti e illeciti. Il tecnico Zeman in passato denunciò delle pratiche illecite nel calcio e scoperchiò una pentola di malaffare di enorme dimensione.
Santachiara nel libro ricorda, in proposito, il giro di scommesse clandestine, gestite a livello internazionale dalla banda di slavi con base a Hong Kong, che corrompeva giocatori nell’ex Jugoslavia, dell’ Ungheria, della Germania e della Finlandia.
Stefano Santachiara fa un’analisi approfondita e dotta dei vizi del gioco più seguito e più pagato del mondo, delle inevitabili connessioni del calcio con grandi società finanziarie, con banche, con poteri forti, con le mafie e, soprattutto, con la politica e i gruppi di potere. Intanto si rivela un ottimo conoscitore della storia del calcio e dei risvolti tecnici, come evidenziano aneddoti concernenti il piano strettamente sportivo e rivela il nesso etico, sociale e politico di questo sport con la società. Dimostra anche una grande memoria concernente le varie operazioni finanziarie dei club, i momenti storici e i collegamenti politici.
Uno dei più grandi difetti della gente, soprattutto nel nostro paese, anche della fascia degli intellettuali che leggono, è la corta memoria storica. La gente dimentica presto gli avvenimenti e, soprattutto, non riesce a cogliere (o non vuole?) le connessioni sia a causa della scarsa e inadeguata informazione dei media e sia perché rifiuta di scoprire i retroscena dello sport che ama e si abbandona esclusivamente al godimento del gioco-spettacolo.
L’autore procede con mano impietosa nella sezione degli avvenimenti. Gli aneddoti sono storia e i collegamenti non sono fantasia. Come ogni giornalista d’inchiesta che si rispetti, fornisce prove inoppugnabili.
I club calcistici sono delle grandi aziende a tutti gli effetti, pertanto, usano le tecniche di pubblicità e di informazione alla stregua di tutte le aziende, ad esempio, l’incentivazione e il finanziamento dei circoli dei sostenitori come strumenti ordinari. I circoli calcistici in grado di movimentare numerose persone, ricevono finanziamenti dalle grandi squadre sotto forma di donazioni, biglietti
gratuiti, maglie e altro, perseguendo la finalità che Oliviero Beha definisce “la calcistizzizazione del paese” perché attraverso lo sport passano i messaggi delle grandi imprese che si accompagnano alle grandi squadre. Santachiara a questo proposito, infatti, ricorda quanto l’Avvocato Gianni Agnelli fosse vicino e presente nella sua squadra, sponsorizzata dalla Fiat, perché era quasi logico che chi tifava Juventus avrebbe comprato macchine Fiat. L’amore per la Juventus diventava presto, se non automaticamente, amore per la Fiat, e negli anni del boom economico si realizzò in pieno: la Juventus diventò una grande squadra e la Fiat diventò quasi un marchio di stato. I giovani che amavano la Juventus amavano la fabbrica di Torino, mentre quelli che tifavano Milan o l’Inter amavano il biscione. Tutto il processo venne sostenuto e diffuso dalla televisione di stato, perché la calcistizzazione del paese era utile ai politici, non solo per creare una valvola di sfogo alle tensioni sociali, ma anche per creare i consensi verso la classe politica. Santachiara ricorda il motto antico dei romani Panem et circenses per creare il consenso. Ma il sistema era stato ereditato dall’antica Grecia che esaltava gli atleti e li considerava semidei a fianco dei potenti di turno. Nerone scese direttamente in campo a gareggiare davanti ai suoi sudditi oltre che inventare un sistema di giochi che fece definire neroniadi, tutto per ottenere il consenso del popolo.
Stefano Santachiara si richiama a Noam Chomski che spiega l’uso dei media per la fabbrica del consenso. I media hanno favorito e favoriscono la “calcistizzazione” del paese: lo sport viene enfatizzato dai media, i potenti sono presenti nello stadio e sostengono la squadra, l’impresa finanzia la squadra e aumenta gli utili grazie all’effetto della pubblicità, intanto i potenti ottengono il consenso che la squadra si è guadagnato nello spettacolo sportivo.
Dietro lo spettacolo, però, ci sono anche le carogne, dice Santachiara, prendendo il termine a prestito da un capo-ultras di una squadra sportiva ( il nomignolo la dice lunga) e recentemente emerso alla notorietà della cronaca. In realtà, dietro il termine l’autore vuole evidenziare un profondo marcio che spesso (o sempre?) c’è dietro le squadre di calcio. Si tratta di quei condizionamenti antropici del fenomeno sportivo a cui si è accennato sopra. Il consenso è più sicuro quando la squadra vince, vacilla quando perde, a parte l’aspetto prettamente finanziario che vede la caduta di valore delle azioni della squadra dopo uno o più sconfitte. Da qui è nato il sistema illecito dell’alterazione delle gare sportive. L’autore ricorda gli scandali del “sistema Moggi”. A questi sono da aggiungere gli scandali sempre più frequenti ( o forse abituali?) delle scommesse clandestine.
Tornando al discorso della fabbrica del consenso, anche le lobby mafiose hanno bisogno del consenso e dell’amicizia della gente. Nulla di meglio che investire nelle squadre di calcio. Il boss si mostra vicino alla squadra, la gente è vicina alla squadra, quindi la gente sarà vicina al boss. Il sillogismo è molto evidente nelle città del sud Italia ( solo nel sud?), come sostengono anche le procure antimafia. L’ aspetto del forte interesse delle mafie per le squadre di calcio a mio avviso forse andava maggiormente sviluppato. Santachiara, però, da giornalista d’inchiesta serio, si è limitato a rilevare solo quanto è documentato. Tuttavia, se riflettiamo su quante risorse finanziarie vengono mosse dalle squadre di calcio durante le campagne di compravendita dei giocatori, -- si tratta di miliardi di euro, non soltanto in Italia e in Europa, ma anche e, forse soprattutto, nei
paesi del sud America, -- è lecito pensare che in questi fiumi di denaro ci siano anche risorse derivanti da riciclaggio di denaro. Certo, senza prove provate non si può sostenerlo, e Stefano non lo dice espressamente, ma resta forte il dubbio. D’altra parte, negli ultimi decenni sono stati spesso effettuati e provati avvicinamenti tra le mafie e il potere politico, entrambi i poteri interessati o legati alle squadre di calcio.
Stefano Santachiara non è nuovo a lavori di giornalismo d’inchiesta che mirano a scuotere la coscienza civile della gente. C’è riuscito bene, insieme a Ferruccio Pinotti, nel libro “I panni sporchi della sinistra”, edito recentemente da Chiarelettere. Nel libro “ Calcio, carogne e gattopardi” non si smentisce e non fa da meno, porta i lettori a riflettere sulla strumentalizzazione della passione sportiva degli spettatori da parte dei poteri politici, dei potenti, delle grandi imprese e delle mafie.
Nel momento attuale in cui la democrazia denuncia segni malessere, un libro di questa portata non può interessare alle case editrici, sempre più dipendenti dalla benevolenza del potere politico. Il libro di Santachiara, infatti, è stato edito “self-publishing”, perché sono troppo forti e numerosi i poteri che in esso sono chiamati in campo.
E’ un libro che va letto e meditato.
Ferrara, 12 Novembre 2014
Salvatore Belcastro