mercoledì 12 novembre 2014

Calcio Carogne e Gattopardi di Stefano Santachiara

“CALCIO CAROGNE E GATTOPARDI” di Stefano Santachiara.

Un antico detto definiva “l’Italia terra di santi, poeti e navigatori”. Santachiara aggiunge “ E Gattopardi” . Bisognerebbe dire anche terra di calcio giocato. Tricorda come il manager di Goldman Sachs International, Jim O’Neil, a Davos nel 2006, dopo avere escluso l’Italia dalla lista dei competitors manifatturieri, la riconosceva meritevole di menzione internazionale per la cucina e per il calcio . Sembrò una battuta ironica, ma tanto ironica non era.
Il calcio è un business gigantesco non solo in Italia, ma nel mondo. Stefano riporta che “ la FIFA per i prossimi tre anni ha previsto un budget di circa 5 miliardi di dollari. Per i mondiali del Brasile ha messo in conto la fatturazione di circa 4 miliardi di dollari.”
Una squadra di club italiana quotata in borsa raggiunge valori di mercato di parecchie centinaia di milioni di euro, alla pari delle grandi squadre europee e come o forse più di grandi complessi industriali.
Qualunque business di questa portata diventa automaticamente un fatto economico, politico e sociale, e si porta dietro i pregi e i condizionamenti antropici, avvenimenti leciti e illeciti. Il tecnico Zeman in passato denunciò delle pratiche illecite nel calcio e scoperchiò una pentola di malaffare di enorme dimensione.
Santachiara nel libro ricorda, in proposito, il giro di scommesse clandestine, gestite a livello internazionale dalla banda di slavi con base a Hong Kong, che corrompeva giocatori nell’ex Jugoslavia, dell’ Ungheria, della Germania e della Finlandia.
Stefano Santachiara fa un’analisi approfondita e dotta dei vizi del gioco più seguito e più pagato del mondo, delle inevitabili connessioni del calcio con grandi società finanziarie, con banche, con poteri forti, con le mafie e, soprattutto, con la politica e i gruppi di potere. Intanto si rivela un ottimo conoscitore della storia del calcio e dei risvolti tecnici, come evidenziano aneddoti concernenti il piano strettamente sportivo e rivela il nesso etico, sociale e politico di questo sport con la società. Dimostra anche una grande memoria concernente le varie operazioni finanziarie dei club, i momenti storici e i collegamenti politici.
Uno dei più grandi difetti della gente, soprattutto nel nostro paese, anche della fascia degli intellettuali che leggono, è la corta memoria storica. La gente dimentica presto gli avvenimenti e, soprattutto, non riesce a cogliere (o non vuole?) le connessioni sia a causa della scarsa e inadeguata informazione dei media e sia perché rifiuta di scoprire i retroscena dello sport che ama e si abbandona esclusivamente al godimento del gioco-spettacolo.
L’autore procede con mano impietosa nella sezione degli avvenimenti. Gli aneddoti sono storia e i collegamenti non sono fantasia. Come ogni giornalista d’inchiesta che si rispetti, fornisce prove inoppugnabili.
I club calcistici sono delle grandi aziende a tutti gli effetti, pertanto, usano le tecniche di pubblicità e di informazione alla stregua di tutte le aziende, ad esempio, l’incentivazione e il finanziamento dei circoli dei sostenitori come strumenti ordinari. I circoli calcistici in grado di movimentare numerose persone, ricevono finanziamenti dalle grandi squadre sotto forma di donazioni, biglietti
gratuiti, maglie e altro, perseguendo la finalità che Oliviero Beha definisce “la calcistizzizazione del paese” perché attraverso lo sport passano i messaggi delle grandi imprese che si accompagnano alle grandi squadre. Santachiara a questo proposito, infatti, ricorda quanto l’Avvocato Gianni Agnelli fosse vicino e presente nella sua squadra, sponsorizzata dalla Fiat, perché era quasi logico che chi tifava Juventus avrebbe comprato macchine Fiat. L’amore per la Juventus diventava presto, se non automaticamente, amore per la Fiat, e negli anni del boom economico si realizzò in pieno: la Juventus diventò una grande squadra e la Fiat diventò quasi un marchio di stato. I giovani che amavano la Juventus amavano la fabbrica di Torino, mentre quelli che tifavano Milan o l’Inter amavano il biscione. Tutto il processo venne sostenuto e diffuso dalla televisione di stato, perché la calcistizzazione del paese era utile ai politici, non solo per creare una valvola di sfogo alle tensioni sociali, ma anche per creare i consensi verso la classe politica. Santachiara ricorda il motto antico dei romani Panem et circenses per creare il consenso. Ma il sistema era stato ereditato dall’antica Grecia che esaltava gli atleti e li considerava semidei a fianco dei potenti di turno. Nerone scese direttamente in campo a gareggiare davanti ai suoi sudditi oltre che inventare un sistema di giochi che fece definire neroniadi, tutto per ottenere il consenso del popolo.
Stefano Santachiara si richiama a Noam Chomski che spiega l’uso dei media per la fabbrica del consenso. I media hanno favorito e favoriscono la “calcistizzazione” del paese: lo sport viene enfatizzato dai media, i potenti sono presenti nello stadio e sostengono la squadra, l’impresa finanzia la squadra e aumenta gli utili grazie all’effetto della pubblicità, intanto i potenti ottengono il consenso che la squadra si è guadagnato nello spettacolo sportivo.
Dietro lo spettacolo, però, ci sono anche le carogne, dice Santachiara, prendendo il termine a prestito da un capo-ultras di una squadra sportiva ( il nomignolo la dice lunga) e recentemente emerso alla notorietà della cronaca. In realtà, dietro il termine l’autore vuole evidenziare un profondo marcio che spesso (o sempre?) c’è dietro le squadre di calcio. Si tratta di quei condizionamenti antropici del fenomeno sportivo a cui si è accennato sopra. Il consenso è più sicuro quando la squadra vince, vacilla quando perde, a parte l’aspetto prettamente finanziario che vede la caduta di valore delle azioni della squadra dopo uno o più sconfitte. Da qui è nato il sistema illecito dell’alterazione delle gare sportive. L’autore ricorda gli scandali del “sistema Moggi”. A questi sono da aggiungere gli scandali sempre più frequenti ( o forse abituali?) delle scommesse clandestine.
Tornando al discorso della fabbrica del consenso, anche le lobby mafiose hanno bisogno del consenso e dell’amicizia della gente. Nulla di meglio che investire nelle squadre di calcio. Il boss si mostra vicino alla squadra, la gente è vicina alla squadra, quindi la gente sarà vicina al boss. Il sillogismo è molto evidente nelle città del sud Italia ( solo nel sud?), come sostengono anche le procure antimafia. L’ aspetto del forte interesse delle mafie per le squadre di calcio a mio avviso forse andava maggiormente sviluppato. Santachiara, però, da giornalista d’inchiesta serio, si è limitato a rilevare solo quanto è documentato. Tuttavia, se riflettiamo su quante risorse finanziarie vengono mosse dalle squadre di calcio durante le campagne di compravendita dei giocatori, -- si tratta di miliardi di euro, non soltanto in Italia e in Europa, ma anche e, forse soprattutto, nei
paesi del sud America, -- è lecito pensare che in questi fiumi di denaro ci siano anche risorse derivanti da riciclaggio di denaro. Certo, senza prove provate non si può sostenerlo, e Stefano non lo dice espressamente, ma resta forte il dubbio. D’altra parte, negli ultimi decenni sono stati spesso effettuati e provati avvicinamenti tra le mafie e il potere politico, entrambi i poteri interessati o legati alle squadre di calcio.
Stefano Santachiara non è nuovo a lavori di giornalismo d’inchiesta che mirano a scuotere la coscienza civile della gente. C’è riuscito bene, insieme a Ferruccio Pinotti, nel libro “I panni sporchi della sinistra”, edito recentemente da Chiarelettere. Nel libro “ Calcio, carogne e gattopardi” non si smentisce e non fa da meno, porta i lettori a riflettere sulla strumentalizzazione della passione sportiva degli spettatori da parte dei poteri politici, dei potenti, delle grandi imprese e delle mafie.
Nel momento attuale in cui la democrazia denuncia segni malessere, un libro di questa portata non può interessare alle case editrici, sempre più dipendenti dalla benevolenza del potere politico. Il libro di Santachiara, infatti, è stato edito “self-publishing”, perché sono troppo forti e numerosi i poteri che in esso sono chiamati in campo.
E’ un libro che va letto e meditato.


Ferrara, 12 Novembre 2014
Salvatore Belcastro


lunedì 21 aprile 2014



Dario Fo  -  la figlia del papa


Quando arrivai a Ferrara, 46 anni fa, giovane studente dell’Università,  rimasi colpito dalla toponomastica di risonanza storica,   soprattutto quella rinascimentale, Savonarola, Tasso, gli Estensi, ecc.  Quando trovai  il nome di Lucrezia Borgia ( abitavo a meno di cento metri di distanza dalla via che la menzionava )  la curiosità divenne  stupore  perché mi tornarono in mente, un po’ impolverate, le notizie apprese al liceo tra i banchi dei gesuiti e altri religiosi. Erano notizie che contrastavano con la dedica di una strada. Feci qualche indagine, purtroppo superficiale perché frequentavo i corsi universitari della mia facoltà  (scientifica) ed ero fuori  da circoli culturali letterari.  Compresi subito, però, che la tradizione popolare locale tramandava notizie ben diverse, anzi, opposte a quelle che mi erano state  inculcate tra i banchi benedetti. 
Oggi finalmente ho letto una trattazione bellissima su Lucrezia Borgia. Si è scomodato il Premio Nobel Dario Fo per ridare a questo personaggio di grandissima levatura culturale e umana l’immagine che merita nella storia, per riscattarla dalle menzogne scritte e tramandate su di lei solo perché dotata di una personalità fuori dagli schemi normali per quell’epoca ( e forse anche per i tempi nostri). Soprattutto l’ha riscattata dalle menzogne, ancora scritte nei libri di storia, e inculcate  oggigiorno dall’integralismo cattolico e bigotto. 
Dobbiamo ringraziare Dario Fo.
Un Premio Nobel non si può e non si deve recensire se non a rischio di diventare ridicoli.  Spero di essere perdonato. Ma nel bellissimo romanzo storico  La figlia del papa,  Dario Fo ha il merito quasi di far rivivere quel personaggio nella vita di oggi. Molti sono i passaggi che riportano alla mente del lettore i giochi politici che viviamo, i ribaltoni politici, il tentativo di riformare radicalmente la Chiesa Cattolica e altri. Stupenda la descrizione della scena teatrale  “come riuscire a campare in una commedia grottesca, senza maschera”. Il genio teatrale di Dario lì esplode, come esplodono i personaggi per giungere al gran finale del Papa che allarga il mantello sul mondo  e mostra l’arma e l’armatura.
Mi permetto di dire che questo non è soltanto un romanzo storico, è quasi una sceneggiatura per uno  spettacolo che vuol mettere  a confronto il passato col presente. Ne trovo segni nel suo linguaggio che nell’uso dei verbi passa spesso dal passato al presente, con saggio calcolo e ne ottiene l’effetto voluto, di rimarcare il concetto.
Dario Fo mi perdoni se mi sono permesso di interpretarlo. Il libro è eccezionale.
Ferrara, 20 aprile 2014

Salvatore Belcastro

venerdì 15 novembre 2013

Storia di Irene di Erri De Luca





Storia di Irene

Di Erri De Luca


L’ultimo libro di Erri De luca si libra nelle alte sfere della poesia, anzi, nelle onde marine che gli toccano i piedi mentre, sdraiato, con le mani sotto la testa  ne osserva le circonvoluzioni  e partecipa al gioco.

Irene è una bambina, personaggio onirico delicatissimo, ma dai tratti risoluti. “Raccolta su una spiaggia dopo una burrasca”,  è poco più che una  bambina ed è vissuta nella casa di un Pope su un’isola dell’Egeo.  Sta per diventare madre. Lei cavalca i delfini, figlia, amante e madre dei delfini  stessi.  Irene racconta la sua fantastica storia, corpo e anima solo nel mare  e gioca con la fantasia a tessere l’apologia dell’immensità dell’acqua che è la sua energia e  vita, come lo è per i delfini, per lo scrittore suo interlocutore, per il mondo intero.  “ Thalassa, gridarono i Greci di Senofonte quando videro apparire il luccichio del mare…” come se il grido fosse uguale a Vita! Ed Erri De Luca lo associa al grido che dalla Pinta di Cristoforo Colombo si alzò alla vista delle terre d’America  “Tierra!”  I due gridi si equivalgono,  entrambi significano vita.
Irene dà un figlio aiutata dal mare e lo restituisce al mare e ai delfini  perché la vita di Irene viene dal mare e  là deve tornare.
In tutti i suoi libri, Erri De Luca infonde l’ anima di poeta della vita. Nella “Storia di Irene”  ha raggiunto vette altissime, come ama fare nella vita con le scalate delle alte montagne e ripide rocce. Come se volesse staccarsi dal resto del mondo e vivere là dove non esistono limiti alla libertà.
Irene rifiuta il mondo: “conoscerai giovani maschi, andrai a ballare al suono di una musica di piazza. S’innamoreranno di te a bocca aperta. … Lei fa un sorriso. Girerai il mondo a togliere i delfini dalle vasche. Poi tornerai qui e racconterai alla tua famiglia del mare.”  Irene, dopo avere riflettuto e  senza aggiungere una parola,  “S’immerge nella notte, s’infila tra due onde col fruscio delle dita che aprono una tenda”.  Il suo passato e il suo futuro restano nel mare.
La storia di Irene non è una favola magnificamente recitata da un poeta , è la metafora della innocenza, della bellezza e della felicità della vita che non c’è più nel mondo che viviamo.  Distrutta. Erri non lo dice con  parole inutili, ma col racconto biografico di episodi della seconda guerra mondiale vissuta dal padre Aldo, sottoufficiale dell’esercito.
Lo sbarco degli americani a Salerno, i bombardamenti di Napoli e della Campania, il rastrellamento degli ebrei accennato dalla presenza dell’ebreo che tenta di sfuggire ai tedeschi, tutto è “il cielo in una stalla”. L’Autore ribadisce ancora che la bellezza e grandiosità del mare è lontana dalla vita che viviamo nel capitolo successivo “Una cosa molto stupida”. Nel “vicolo dei Setteventi”  “Onna Speranza  è morta per l’ossido di carbonio”, simbolo del destino assoggettato alla miseria.  Il vecchio malato e “non-voluto” dai giovani, perché non c’è abbastanza da mangiare per tutti, sceglie di por fine alla sua vita. Come? Dove?  Nel mare grande, immenso. Il mare è vita, dal mare nasce la bellezza, ma il mare raccoglie infine  i  tristi destini.
La Storia di Irene è  un’opera superba che tutti dovrebbero leggere e meditare.

S.B.

Erri De Luca -  Storia di Irene,  Feltrinelli, 2013.